“Il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome,
egli vi insegnerà ogni cosa e ricorderà tutto ciò che vi ho detto”.
(Gv 14,26)
Carissimi fratelli e sorelle,
il Cardinal Suenens disse: “Io credo nelle sorprese dello Spirito Santo”. Viene
lo Spirito santo! Più che parlare dello Spirito santo, sarebbe meglio desiderarlo,
attenderlo in preghiera anelante, invocarlo e lasciarsi penetrare, rianimare e
condurre da Lui.
Viene lo Spirito Santo, e ci insegna a pregare! La preghiera cristiana è una
preghiera fatta nello Spirito. Non si tratta di una formula obbligante, né essa è
lettera, parole, suoni, canti. È Spirito.
Pregare nello Spirito è pregare con tutta la fiducia, come figli, come i bambini
piccoli; è imparare giorno per giorno a “parlare da amici”, come diceva Santa Teresa,
o fare l’esperienza di gratuità di cui scrive il teologo peruviano Gustavo Gutierrez,
poiché come dice l’apostolo Paolo: “E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per
ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale
gridiamo: «Abbà, Padre!»” (Rm 8,15).
Pregare nello Spirito è cercare i frutti dello Spirito, che sono: amore, gioia,
pace, pazienza, affabilità, bontà, fedeltà, mansuetudine, temperanza. (cf. Gal 5,22).
Soprattutto, però, dobbiamo riconoscere che abbiamo bisogno dello Spirito
per pregare, giacché non sappiamo nemmeno cosa domandare: “Allo stesso modo
anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza …. intercede con insistenza per noi con
gemiti inesprimibili.” (cf. Rm 8, 26).
Lo Spirito Santo è l’unico che può insegnarci a pregare, l’unico che può
riempirci di pace, amore, gioia e speranza.
Ignazio, il Patriarca Greco‐Ortodosso di Antiochia, esprime questa potente
verità con queste parole: “Lo Spirito Santo è la novità che agisce nel nostro mondo. Senza
di Lui Dio resta lontano; Cristo è cosa del passato; il Vangelo è lettera morta; la Chiesa una
semplice organizzazione umana; l’autorità diventa tirannia; la missione propaganda; il culto
un semplice ricordo; la prassi cristiana una morale da schiavi”.
Per questa e per molte altre ragioni dobbiamo imparare giorno per giorno a
pregare veramente nello Spirito, il Padre, per Gesù Cristo.
A proposito della preghiera, desideriamo ricordare, carissimi fratelli e sorelle,
che la dimensione contemplativa o lo spirito dell’orazione sono sempre stati una
parte essenziale del nostro carisma dalle origini ai nostri giorni.
Le Costituzioni dell’Ordine sono uno splendido commentario e meditazione
della nostra Regola di vita, e ci offrono delle parole chiare e moderne per esprimere
la nostra identità:
La vitalità della nostra vita fraterna e della nostra
testimonianza apostolica dipende tutta dal nostro impegno di
progredire nella preghiera. Ogni frate e ogni fraternità è
responsabile di questa vitalità e di tale testimonianza.
Lʹerezione di un eremo, o luogo di ritiro, in ogni provincia offre
una più chiara testimonianza della necessità di integrare nella
nostra vita la dimensione contemplativa e quella attiva. Offre
inoltre la possibilità di riscoprire la tradizione eremitica nella
nostra vocazione francescana.
Ci deve essere un sano equilibrio tra il lavoro e la
contemplazione, tra il lavoro e la ricreazione, tra i ritmi del
lavoro e i momenti di vita fraterna. Ognuno per ciò abbia a
disposizione il tempo sufficiente per la preghiera, per
partecipare agli atti comuni, per la formazione permanente e
per il riposo. Con tale equilibrio e con lʹuso appropriato dei
nostri carismi personali, il lavoro può incrementare
efficacemente la nostra crescita individuale e fraterna.
I teologi e i filosofi ci avvertono che ancora oggi perdura nella Chiesa e nella
vita consacrata una crisi della contemplazione.
Nel fondo si apprezza l’abbandonarsi ad un’attitudine di orazione esplicita al
Padre, cioè vivida nell’adorazione, nell’azione di grazie, nella richiesta confidente e
concreta al Padre dei Cieli. Oggi, a causa dell’umore culturale dei nostri tempi, del
nuovo orientamento della fede e della nuova forma di vita che ci ha imposto la
società dei consumi, tendiamo a dar valore solo a quanto è comprovato
dall’esperienza, ciò che è tangibile e concreto, controllabile ed efficace, quelle realtà
che producono una immediata utilità. Per questa via è entrata in crisi la preghiera
nel suo significato più stretto: come incontro con Dio nella solitudine e nel silenzio,
la preghiera nel segreto attraverso la quale vediamo il Padre, e che può essere
considerata poco utile o una perdita di tempo.
Crediamo che delle cause che spiegano questo fenomeno sia la perdita della
capacità di fare silenzio. Abbiamo bisogno di recuperare lo spazio del silenzio, sia
psicologico che fisico, se vogliamo aprirci all’esperienza di Dio. Se vogliamo che
germogli in noi la dimensione contemplativa, lo stupore e l’ammirazione dobbiamo
recuperare la dimensione della profondità alla quale solo il silenzio può condurci.
Il silenzio ci pone in contatto con noi stessi, con la vita che è la nostra realtà
primaria, il primo mistero, il primo accesso all’esperienza di Dio e con le domande
fondamentali per l’esistenza.
Gli uomini e le donne di oggi, sommersi dal maremoto sonoro del rumore che
occupa tutti gi spazi disponibili, soffocati da tanto parlare, storditi dai venti
mediatici, spesso non sanno più da dove vengono e dove vanno e finiscono per
sentirsi persi e alienati. Quando succede questo, è chiaro che hanno dimenticato la
propria vera natura di figli e figlie di Dio e il cammino che conduce alla coscienza e
al giardino interiore del proprio cuore.
Il filosofo Pascal, era convinto che i mali dell’umanità sparirebbero se le
persone fossero capaci di restare ogni giorno un quarto d’ora in silenzio nella
propria abitazione. Kierkegaard concorda nel segnalare: “Se io fossi un medico e mi
chiedessero cosa raccomenderei, risponderei di imporsi il silenzio, di fare silenzio”.
Attenzione, dunque, all’attivismo, al “fare per il fare”, al valorizzare le
persone per quello che hanno e non per quello che sono veramente. Appare evidente
che l’assenza di una vita equilibrata può propiziare una superficialità nel nostro
lavoro e nelle nostre relazioni e un tipo di attivismo evasivo.
Procuriamo di recuperare, allora, l’armonia e l’equilibrio all’interno della
nostra vita nella preghiera, nella vita fraterna, nel lavoro o nella missione,
nell’esercizio e nello svago. Come francescani, possiamo contare su un grande aiuto
per armonizzare felicemente questi tre valori nella ricchezza della nostra tradizione
spirituale e del nostro carisma. Francesco d’Assisi radicava la sua vita apostolica in
una preghiera continua e la sua vita di fraternità costituì un’espressione privilegiata
della sua predicazione evangelica.
La preghiera è un’esperienza di fede e un incontro personale con il Signore. Io
credo in Te, Gesù di Nazareth! La struttura della fede richiede, allora, dialogo,
presenza e intimità. Questo tipo di fede ci spinge a coinvolgerci non con un progetto
quanto con una persona, il Signore della Vita, che vive e ha un progetto per noi.
Inoltre, la preghiera affonda le sue radici nella struttura di base del nostro
stesso essere e ravviva la dimensione essenziale della nostra natura umana che non
vive solo di pane e materialità, ma anche della bellezza, della verità, della musica,
della poesia, dell’arte, della mistica e della preghiera stessa. Per questo possiamo
unire le nostre voci a quella del salmista: “Di Te ha sete l’anima mia, a Te anela la mia
carne, come terra deserta, arida, senz’acqua.” (cf. Sl 62,2) e all’intuizione personale di S.
Agostino: “Ci hai fatti per Te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa
in Te”.
Siamo creature limitate, certo, ma abbiamo un desiderio illimitato, un
orizzonte infinito che niente e nessuno può saziare, se non Dio stesso.
Dio, direbbe ancora S. Agostino, non esiste perché lo strumentalizziamo ma
perché ne possiamo godere. Per questo la domanda apparentemente sensata e
pragmatica – a che serve pregare? – è fondamentalmente una domanda stupida. È
come chiedere a cosa serva una sinfonia di Mozart o la contemplazione di un quadro
di Velasquez o un fiore o il sorriso di un bimbo o lo spazio verde in una città …
Vieni, allora, Spirito Santo, e insegnaci che l’esperienza fondante
della nostra vita religiosa è l’esperienza di Dio. Ricordaci che la
malattia più frequente che ci minaccia è la anemia spirituale. Permetti
che ci accorgiamo che ci manca qualità e perseveranza nella
preghiera per non cadere nell’aurea mediocrità di una vita facile e
comoda.
Entra nel fondo della nostra anima. Guarda il vuoto dell’uomo se Tu
manchi nella sua vita. Osserva il potere del peccato quando Tu non
mandi il tuo soffio.
Vieni Signore che dai la vita! Insegnaci a credere, insegnaci ad
amare!